I concorsi d’arte e di cultura “Istria Nobilissima” e la “Biblioteca Istriana”
Università Popolare di Trieste 1899-1999, cent’anni di impegno nella tutela e proozione della cultura italiana a Trieste e la sua Provincia, in Istria, Fiume e Dalmazia.
Bruno Maier
La collaborazione tra l’Università Popolare di Trieste e l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (dal 1991 Unione Italiana), iniziata nel 1964, si è arricchita nel giugno del 1967 di una manifestazione “di grandissimo rilievo, e cioè del concorso annuale ‘Istria Nobilissima’”, mirante a “stimolare e valorizzare tutte le forma creative d’arte e di cultura comprendendo la letteratura inventiva, la saggistica, le arti visive, la composizione musicale, le arti rappresentative e i servizi giornalistici d’informazione.
Si è così “voluto dare la possibilità a tutti gli appartenenti al nostro gruppo etnico di allinearsi con gli altri gruppi anche in questi campi di produzione e di metterli in condizione di dare il loro contributo di originalità, di ricerca e di lavoro intellettuale alla società in cui vivono”. Queste parole programmatiche (e ormai “storiche”) si leggono nella Prefazione, firmata da Marcello Fraulini, alla prima antologia, uscita nel 1968, delle opere premiate nel concorso “Istria Nobilissima”, che raccoglie i testi di Mario Schiavato, Celeste Zrelz, Giacomo Scotti, Eligio Zanini, Alessandro Damiani, Giusto Curto e Claudio Ugussi.
Il concorso “Istria Nobilissima” ha innanzi tutto un importante significato documentario, in quanto testimonianza di un’attività intellettuale cominciata nei primi anni del dopoguerra e svoltasi progressivamente nel tempo, proiettandosi fiduciosamente, con ragionevole ottimismo, verso il futuro.
Oggi, infatti, una letteratura o, meglio, una cultura dei “rimasti”, variamente denominata “di confine” o “di frontiera”, è una ben riconoscibile realtà; e se, da un lato, può essere considerata una nuova provincia letteraria nazionale, con le sue specificìtà tematiche e formali, dall’altro si configura come un’esperienza culturale alimentata (e arricchita) da molteplici elementi e fermenti dell’ambiente sociale in cui si svolge e si sviluppa.
Inoltre l’odierna cultura dell’Istria e del Fiumano funge da “ponte” tra due mondi diversi, ma non avversi, quello italiano e quello sloveno e croato, il cui destino è di conoscersi, di capirsi, di dialogare, con evidente, reciproco vantaggio; e mira a situarsi, con sempre maggiore consapevolezza, in un ambito propriamente europeo.
Analogamente è da osservare che i passati conflitti tra la cultura dei “rimasti” e quella degli “esuli” tendono a scomparire o sono effettivamente scomparsi nelle menti e nelle coscienze degli intellettuali migliori e più aperti, che giustamente si sentono e si proclamano, come già lo scomparso poeta fiumano Osvaldo Ramous, “cittadini del mondo”.
Non è un caso che nelle ultime edizioni del concorso “Istria Nobilissima” siano stati assegnati un premio per la poesia e uno per la prosa, soprattutto narrativa, a scrittori dell'”esodo”; mentre un altro premio è stato opportunamente riservato a un autore della maggioranza capace di dominare perfettamente la lingua italiana e di usarla con finalità poetiche e letterarie nei suoi scritti.
È pertanto lecito asserire, a conclusione degli accennati rilievi sulla validità documentaria dei concorsi “Istria Nobilissima”, che questi sono stati un energico incentivo o un forte propellente all’incremento della cultura istro – quarnerina. La quale, a sua volta, ha potuto dimostrare, anche nei volumi antologici, il suo cammino ascensionale, ovvero la sua originalità, le sue tendenze dominanti, la presenza di autori affermati pure al di là del loro territorio.
Essa si è manifestata in una lunga serie di testi, che sono non soltanto voce e riflesso di una particolare condizione esistenziale, ma anche, e soprattutto, espressione di un’umanità ben definita, di un mondo interiore in cui alle spinte collettivistiche si alternano le preminenti tensioni individuali, psicologiche e affettive o una vocazione, propria dei vari autori, a “esplorare” leopardianamente “il proprio petto”
Cultura in cui ha gran parte la natura sotto il duplice aspetto del mare e della terra, della pesca e della coltivazione dei campi; e in cui un’arcaica civiltà contadina con le sue tradizioni, i suoi riti, i suoi miti, le sue favole e le sue leggende si unisce a una nuova, moderna, inquieta, talora persino frenetica civiltà cittadina, che ha i suoi templi profani nelle fabbriche e nelle istituzioni industriali.
Una cultura, insomma, che rappresenta, nelle sue numerose componenti, l’attuale società dell’Istria e di Fiume e che non ha più timore di affrontare dei temi nel passato ritenuti tabù – come l’esodo dall’Istria, le foibe, ecc. – e proprio perciò prudentemente ignorati o trascurati o, addirittura. rigorosamente vietati.
Questa cultura si è svolta. come sempre, nella storia: sicché se nel lungo periodo dominato dalla figura di Tito sono prevalse le opere contraddistinte dalla teoria dell'”impegno” sartriano (e vittoriniano) e dalle imposizioni del “realismo socialista” di stampo più o meno ortodossamente zdanoviano, dopo la morte del maresciallo (1980) e il passaggio dal comunismo alla democrazia, anche la cultura istro – fiumana è proceduta in un opposto clima di “disimpegno” o, piuttosto, di libertà: di una libertà povera o priva di condizionamenti politici o di implicazioni ideologiche, e quindi favorevole alla manifestazione dell’individualità dei singoli autori, della loro poetica e del loro “gusto” personale, memori delle nuove esperienze culturali mitteleuropee ed europee.
Un discorso a parte esige la configurazione del concorso “Istria Nobilissima”. Basta sfogliare i volumi antologici per constatare che le commissioni giudicatrici si sono modificate e ampliate con il trascorrere degli anni; e che le categorie dei premi sono state aumentate, in maniera da rispecchiare la vasta raggiera delle odierne attività intellettuali.
Tutti gli operatori culturali, in altre parole, hanno trovato lo spazio in cui inserirsi e mostrare così la varietà e la molteplicità d’interessi, di aspetti, di idealità dell’attuale cultura istriana.
Mentre la recente istituzione del premio “promozione” ha inteso rendere note e apprezzate, anche al di là dell’ambito locale, delle opere particolarmente meritevoli attraverso la stampa di un libro, come la raccolta di liriche In viaggio la vita di Giacomo Scotti (1994) e La torre del borgo di Alessandro Damiani (1996); o 1’organizzazione di una mostra d’arte.
E gli autori? È ovvio che essi sono e continuano a essere i protagonisti della cultura e della letteratura istro – quarnerina, allo stesso modo che le loro opere, quando non trovino la strada ottimale della pubblicazione in volume, hanno la loro collocazione più pertinente nelle pagine delle antologie “Istria Nobilissima”; mentre per l’attività figurativa l’approdo ideale è la mostra e per quella musicale il concerto.
Per quanto riguarda la cultura letteraria converrà rammentare che essa ha la parte del leone nelle antologie, sia per il numero elevato degli autori presenti, sia per la molteplicità dei testi poetici, narrativi, teatrali e saggistici ospitati nei singoli volumi.
Se poi si esaminano gli indici delle antologie (e quelli generali inclusi nei volumi decimo e ventesimo), è agevole constatare che alcuni autori già presenti nel primo volume del ’68 sono stati per molti anni o sono tuttora sulla breccia, e si situano in posizioni di primissimo piano.
In quel volume, infatti, si possono leggere un gruppo di liriche in dialetto rovignese di quell’Eligio (o Ligio) Zanini (1927-1993), vincitore del premio nazionale per la poesia dialettale “Biagio Marin” (1991) che è, per comune consenso, uno dei maggiori poeti in questo specifico settore della lirica contemporanea: un poeta in cui l’amore del mare, la contemplazione del cielo notturno con le sue “stile”, certi spunti autobiografici, una risentita vena polemica, la rievocazione di leggende marinare, il profondo affetto per il luogo natio e, insieme, un fermo e saldo rigorismo etico si uniscono in una lirica di cui può essere metafora e simbolo quel “cucal Filéipo” che è l’interlocutore ideale del poeta, il suo prediletto compagno nelle ore trascorse in barca, intento a pescare.
All'”aristocratico” Zanini (aristocratico per la sua fiera e appartata solitudine, per la profondità della sua vocazione letteraria e per la sua strenua ricerca stilistica) si può avvicinare il poeta Giusto Curto (1909 – 1988), in cui prevale una saggezza popolare, distillata in versi aforistici e sentenziosi, che si unisce all’affetto per la sua Rovigno: per la Rovigno del passato, in specie, così diversa da quella presente, e tale da suscitare in lui una struggente nostalgia per un mondo o un “rigno” che non c’è più.
Accanto ai morti, i vivi, tuttora in piena attività: il narratore Mario Schiavato (1932), doloroso cantore dell’Istria contadina, con le sue ombre piuttosto che con le sue luci, con i suoi contrasti piuttosto che con le sue gioie. L’Arcadia agreste di Schiavato nasce e vive sotto il segno del pianto; mentre nella sua lirica spiccano il motivo degli affetti familiari e quello delle scalate sulle alte vette montane, da ricondurre all’attività alpinistica dell’autore.
Al poliedrico, versatile Giacomo Scotti (1928) si devono uno scritto sul “folclore istriano” e una serie di poesie.
Se questi è approdato a Fiume dopo aver abbandonato la nativa Saviano in Campania, Alessandro Damiani (1928), allontanatosi da Sant’Andrea Ionio in Calabria, si è del pari stabilito nella città quarnerina; e ha cominciato con il dramma Ipotesi, incluso nel primo volume dell’antologia “Istria Nobilissima” e destinato piuttosto alla lettura che alla rappresentazione, una fortunata e prestigiosa carriera letteraria, affermandosi come poeta, narratore, autore drammatico, saggista e giornalista.
Claudio Ugussi (1932) è presente nell’antologia con numerose liriche, cui seguiranno una ben qualificata operosità narrativa e una non meno rilevante attività pittorica.
Sono questi, con il musicista Celeste Zrelz, gli autori compresi nella prima antologia del ’68; e costituiscono un esordio di tutto rispetto, che si verrà ampliando e arricchendo nei decenni successivi con nomi di larga e diffusa notorietà.
Tra questi sono da citare, oltre ai già menzionati, Mario Valich, Egidio Milinovich, Domenico Cernecca, Lucifero Martini, Mario Cocchietto, Umberto Mattioni, Giovanni Radossi, Giovanni e Antonio Pellizzer, Stefano Stell, Giuseppe Rota, Ezio Mestrovich, Luciano Monica, Luciano ed Ezio Giuricin, Loredana Bogliun Debeljuh, Adelia Biasiol, Anita Forlani, Ester Sardoz Barlessi, Gianna Dallemulle Ausenak, Nirvana Ferletta, Nelida Milani Kruljac, Fulvio Radin, Maurizio Tremul, Libero Benussi, Silvio Forza, Ugo Vesselizza, Laura Marchig, Fulvio Suran, Silvano Zilli, Mario Simonovich, Vlada Acquavita, Marco Apollonio, Ester Giachin, ecc.
Tutti questi autori, parecchi dei quali alternano la lirica, la narrativa, il teatro e la saggistica, dimostrando così la capacità di cimentarsi, con buoni e talora ottimi risultati, in campi diversi (ma non è proprio questa una connotazione caratteristica dell’intellettuale odierno?), si intonano alle tematiche e alle forme della letteratura nazionale cui direttamente si richiamano, senza trascurare le letterature della maggioranza (locale e non locale) e le suggestioni provenienti dalle letterature mitteleuropee ed europee.
Essi sono appunto perciò dotati di un’umanità vasta e intensa, in cui la ricerca del nuovo si unisce alla fedeltà alla tradizione e all’attaccamento alle radici, con una moderata (e spesso provvidamente assente) attenzione sia a un realismo minuzioso e cronachistico, sia a uno per lo più sterile e inconcludente sperimentalismo.
La letteratura istro – fiumana punta essenzialmente sull’universalizzazione del mondo interiore dei singoli poeti e scrittori.
Essa, infatti, come ben confermano i volumi antologici sinora editi, pur avendo la sua genesi in una ben determinata provincia, almeno dal punto di vista geografico, è tutt’altro che provinciale; e nasce all’insegna della persuasione che l’universalità non è qualcosa di astratto, di tipico, di esteriormente esemplaristico, e scaturisce, invece, dall’approfondimento di una particolare condizione spazio – temporale, da una sua proiezione in una sfera più vasta, nella quale ognuno può riconoscersi e ritrovarsi.
Una letteratura, in conclusione, nuova, originale, creativa, in cui l’umanità e l’interiorità di un individuo, di uno scrittore diventa patrimonio (ed emblema) di tutti.
Al concorso – premio annuale “Istria Nobilissima” si associa naturalmente la “Biblioteca Istriana”, fondata per iniziativa dell’Università Popolare di Trieste e dell’Unione Italiana di Fiume alla fine degli Anni Settanta.
Gli autori presenti sono, più o meno, i medesimi; ma questa volta sono rappresentati da un intero volume, corredato di una prefazione o introduzione firmata da un critico qualificato e competente e di una nota bio – bibliografica.
In un solo caso sono state riunite tutte le sillogi stampate da un singolo autore, e precisamente dal compianto Osvaldo Ramous (narratore e drammaturgo, oltre che poeta di alto livello), che può essere considerato il maggiore esponente della lirica istriana e fiumana; e, in specie, colui che impersona in sé e nella sua opera la continuità storica della letteratura accennata, da quella prebellica a quella postbellica.
Si è così voluto rendere omaggio a questo autore, e riconoscere il suo merito di essere stato tra i primi a dare un forte incremento al sorgere e all’affermarsi, in Istria e a Fiume, di una nuova civiltà letteraria e culturale.
Per quanto concerne gli altri autori, sono da citare il poeta in dialetto rovignese Ligio Zanini, che ha inaugurato la “Biblioteca Istriana” con una delle sue raccolte migliori e più personali, Favalando cul cucal Filéipo in stu canton da paradéisu (1979); Giusto Curto, autore della silloge di liriche in dialetto rovignese Meingule insanbrade (1983); e Lidia Delton, cui si deve un ampio volume di poesie in dialetto dignanese, Sulo parole cumo testamenti (1998), configurato come una serie o una “galleria” di “quadriti bumbari”, in cui sono rievocate figure (a partire da quella, preminente del padre), costumi e usanze popolari, interni domestici e scorci ambientali di una cittadina in via di trasformazione e superstite quasi esclusivamente nel ricordo (onde il frequente uso dell'”imperfetto”), rappresentata con melanconia e nostalgia, ma anche alla luce di una speranza o di una “fide” nella vita e nell’avvenire.
Accanto ai dialetti di tipo istroromanzo si afferma il dialetto veneto o istroveneto, quale ricorre nei componimenti di accento popolare o popolareggiante del fiumano Egidio Milinovich (Variazioni fiumane, 1984) e del polesano Stefano Attilio Stell (Dala farsora ale bronse, 1990).
Ma indubbiamente lo strumento espressivo più usato è la lingua italiana, manifesta nelle liriche, per lo più brevi e memori della poetica dell’ermetismo e del neo – ermetismo, di Anita Forlani (Voci e pensieri, 1987), nelle quali la “lunga avventura della vita” si trasfigura in un coerente itinerario poetico, fondato sul profondo attaccamento alla terra istriana (e a Dignano in particolare), “teatro di bellezza e verità”, sul rifiuto dell’odierna, sofisticata tecnologia, nemica della natura, sull’avvertimento del tempo che fugge inesorabile e sul “grande gioco rituale dell’amore”.
In quelle di Laura Marchig (Dall’oro allo zolfo,1998), che con i loro toni polemici, anticonformistici, spregiudicati, dissacranti, in linea ideale con certa musica modernissima, segnano il punto di maggiore avvicinamento ai motivi e al linguaggio della più audace, eversiva e “ribelle” poesia contemporanea.
E in quelle di Umberto Matteoni (I sentieri dell’anima, 1998), delicato poeta della famiglia, del paesaggio istriano e della pace e della concordia tra gli uomini dopo la tragica esperienza della guerra balcanica.
Dalla lirica alla prosa; e a questo proposito sono da ricordare i Racconti dignanesi (1981) di Mario Schiavato, onde emerge un panorama affettuoso e veridico della società contadina dell’Istria interna.
I racconti dal titolo La lunga strada (1985) di Lucifero Martini, insieme rievocatore e censore – un po’ come Moravia – di vicende umane, sul fondamento di suggerimenti autobiografici.
Il romanzo – saggio Ed ebbero la luna (1987) di Alessandro Damiani, raffigurazione (e radiografia) severa e impietosa della nostra epoca e dell’irreversibile crisi di valori che la caratterizza, tra realtà e simbolo, tra cronaca (e storia) e invenzione.
Gli Itinerari istriani. Sensazioni ed immagini (1989) di Romano Farina, concepiti sotto forma di reportages giornalistici o di “fogli di viaggio”, di Reisebilder nelle cittadine e nelle prospettive naturalistiche di quel territorio.
E le opere narrative di Ester Sardoz Barlessi (E in mezzo un fiume, 1997) e di Gianna Dallemulle Ausenak (Cucai e gabbiani, 1997).
Cui sono da aggiungere il Dizionario dei termini giuridici e amministrativi della lingua croata o serba e italiana (1982) di Dinko Mazzi; Par tere e vedurni. Saggio di terminologia botanica dignanese (1988) di Flavio Forlani; e un “classico” della cultura rinascimentale istriana, ossia Le frottole (1996) del musicista, stampatore e incisore Andrea Antico di Montona (1470/1480 – ?), a cura di Boris Jurevini, Giuseppe Radole e Sergio Puppis.
Ritengo che queste brevi notazioni sulla “Biblioteca Istriana” e sulle opere in essa incluse siano sufficienti a sottolineare l’importanza di questa iniziativa; e di un corpus di scrittori che hanno avuto e hanno una funzione primaria nell’affermazione della cultura e della letteratura istro – quarnerina.
Il nostro più fervido augurio è che la collana continui e si arricchisca di nuovi autori e di nuove opere, parallelamente alla continuazione dei concorsi – premio “Istria Nobilissima” e delle relative antologie.
Poiché anche con queste manifestazioni la cultura anzidetta potrà essere, oltre che retaggio e tesaurizzazione di un glorioso passato, documento di quella che Alessandro Damiani ha ottimamente definito “l’autenticità della vita”, ovvero della realtà contemporanea e, domani, di quel futuro che già lascia intravedere le sue imprevedibili virtualità.
Spetterà anche alla cultura dell’Istria e di Fiume riempirle di nuovi contenuti, renderle enunciatrici di nuovi valori e di nuovi messaggi e tradurle, con l’avvicendamento delle generazioni, in opere letterariamente, artisticamente valide.